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Perché il baccalà selvaggio è la chiave per la sostenibilità

Piccolo confronto con il salmone

Negli ultimi anni, la sostenibilità è diventata una priorità per molti consumatori consapevoli delle conseguenze ambientali delle loro scelte alimentari. Non è un caso che anche nel mercato ittico si stiano consolidando delle best practice sempre più definite.

Tra i vari pesci disponibili sul mercato, il baccalà selvaggio rappresenta una scelta particolarmente sostenibile rispetto ad altri pesci, come per esempio il salmone. 

Esistono diverse ragioni per cui il baccalà selvaggio è preferibile dal punto di vista della sostenibilità, inclusi i metodi di pesca meno invasivi, una gestione più attenta delle risorse ittiche, un impatto ambientale complessivamente inferiore e una maggiore efficienza alimentare. 

Di seguito, analizziamo ciascuno di questi aspetti in dettaglio.

Metodi di pesca e impatto sugli ecosistemi

Il baccalà selvaggio viene pescato utilizzando metodi che minimizzano l’impatto sugli ecosistemi marini. Tecniche come le reti da posta, le lenze e i palamiti consentono una pesca più selettiva e meno invasiva rispetto ad altri metodi come le reti a strascico, che possono causare danni significativi ai fondali marini. 

Le reti da posta sono stazionarie. Vengono calate in acqua e fissate al fondo marino, lasciando che i pesci nuotino liberamente nelle loro vicinanze prima di essere catturati. Questo metodo riduce il rischio conosciuto come “bycatch” di catturare specie non bersaglio, e limita l’impatto fisico sul fondo marino, preservando gli habitat naturali.

Le lenze, utilizzate in tecniche di pesca come la traina e la pesca con lenza, consistono in lunghe corde con ami distanziati che possono essere utilizzate a varie profondità. Anche questo procedimento è altamente selettivo, poiché gli ami possono essere progettati per catturare solo determinate dimensioni di pesce. La pesca con lenza è particolarmente adatta per catturare specie come il baccalà, che nuotano a profondità intermedie e profonde, lontano dai fondali marini fragili.

I palamiti, o “longline”, sono composti da una linea principale lunga fino a diversi chilometri dalla quale pendono numerosi ami a intervalli regolari. Questa tecnica permette ai pescatori di coprire ampie aree marine senza disturbare il fondale. I palamiti possono essere posizionati a varie profondità, adattandosi all’habitat naturale del baccalà. Inoltre, i palamiti possono essere equipaggiati con dispositivi di mitigazione, come ami circolari e repellenti per uccelli marini, per ridurre ulteriormente il bycatch e l’impatto sugli ecosistemi.

In contrasto, pesci come il salmone sono spesso allevati in acquacoltura intensiva, che presenta vari problemi ambientali. Tali allevamenti sono situati in baie o fiordi dove l’alta densità di pesci può portare all’accumulo di rifiuti organici sul fondo marino, causando eutrofizzazione e perdita di biodiversità. 

I rifiuti, composti da escrementi di pesce e mangimi non consumati, rilasciano nutrienti come azoto e fosforo nell’acqua, promuovendo la crescita di alghe e fitoplancton. Questo processo può esaurire l’ossigeno disponibile nell’acqua, portando alla morte di organismi marini e al degrado degli habitat.

Inoltre, la densità elevata di pesci negli allevamenti intensivi aumenta la probabilità di diffusione di malattie e parassiti, come il pidocchio di mare. Questi problemi richiedono l’uso di antibiotici e pesticidi, che possono contaminare le acque circostanti e avere effetti negativi sugli organismi marini. 

C’è infine il rischio concreto di una fuga di pesci nelle acque circostanti, situazione che introdurrebbe specie non native che possono competere con le popolazioni selvatiche e alterare gli equilibri ecologici.

Dunque, i metodi di pesca utilizzati per il baccalà selvaggio sono progettati per essere sostenibili e minimamente invasivi. Ma le differenze con gli allevamenti intensivi non finiscono qui.

Gestione delle risorse ittiche

La gestione sostenibile delle risorse ittiche è cruciale per mantenere le popolazioni di baccalà a livelli sani e abbondanti. Le quote di pesca e le regolamentazioni internazionali giocano un ruolo fondamentale nel prevenire la sovrapesca e garantire che la pesca del baccalà avvenga in modo responsabile. 

Queste misure sono implementate attraverso un quadro complesso di gestione delle risorse che coinvolge organizzazioni internazionali, enti governativi, scienziati e pescatori.

A livello internazionale, organismi come l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO) e il Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare (ICES) svolgono un ruolo chiave nel monitorare le popolazioni ittiche e stabilire raccomandazioni per le quote di pesca. 

Questi organismi utilizzano dati scientifici dettagliati raccolti da programmi di monitoraggio e ricerca per valutare lo stato delle popolazioni di baccalà e altre specie commerciali. Le valutazioni includono l’analisi delle tendenze di abbondanza, i tassi di crescita, la mortalità e la riproduzione.

Nello specifico, le quote di pesca, note come Totali Ammissibili di Cattura (TAC), sono stabilite annualmente in base a queste valutazioni scientifiche. I TAC definiscono la quantità massima di baccalà che può essere catturata in una determinata area durante l’anno. Queste quote sono poi suddivise tra i paesi membri in base a criteri storici e negoziati. Per esempio, nell’Unione Europea, la Commissione Europea propone i TAC sulla base delle raccomandazioni dell’ICES e delle consulenze scientifiche, e gli stati membri negoziano la distribuzione delle quote all’interno del Consiglio dei Ministri della Pesca.

Oltre ai TAC, esistono altre misure di gestione delle risorse ittiche che contribuiscono alla qualità sostenibile del baccalà. Tra queste, vi sono le dimensioni minime, che determinano la taglia minima alla quale i pesci possono essere catturati e commercializzati. Questo limite aiuta a garantire che i pesci abbiano raggiunto la maturità sessuale e abbiano avuto la possibilità di riprodursi prima di essere pescati. Ci sono poi i periodi di chiusura della pesca, durante i quali la pesca è vietata per consentire alle popolazioni di riprodursi e rinnovarsi.

Le zone di pesca chiuse rappresentano un’altra importante misura di gestione. Queste aree, spesso situate in habitat critici come zone di riproduzione o di crescita giovanile, sono protette dalla pesca per preservare l’ecosistema marino. La chiusura temporanea o permanente di queste zone contribuisce a mantenere l’integrità degli habitat marini e a sostenere la biodiversità.

Ad oggi, la tecnologia e l’innovazione giocano un ruolo crescente nella gestione delle risorse ittiche. Sistemi di monitoraggio elettronico, come le videocamere a bordo dei pescherecci e i registri di pesca elettronici, migliorano la raccolta dei dati e la trasparenza delle operazioni di pesca. Questi strumenti consentono un controllo più rigoroso delle catture e una maggiore conformità alle regolamentazioni.

Inoltre, la certificazione di sostenibilità da parte di organizzazioni come il Marine Stewardship Council (MSC) fornisce un ulteriore livello di garanzia che il baccalà venga pescato in modo sostenibile. Le certificazioni richiedono il rispetto di standard rigorosi per la gestione delle risorse ittiche, l’impatto ambientale e la tracciabilità. I prodotti certificati MSC, come quelli Marca Scudo® Genova, sono etichettati per informare i consumatori che il pesce proviene da una pesca sostenibile.

Tramite queste misure regolatrici possiamo sostenere che l’impatto ambientale complessivo della pesca al baccalà selvaggio è significativamente inferiore rispetto a quello del pesce d’allevamento, rendendolo una scelta alimentare più sostenibile.

Come azienda, gli sforzi per allinearsi agli standard internazionali più alti di sostenibilità sono piuttosto onerosi nel breve periodo, ma la prospettiva non può mai limitarsi a questo, deve sempre vedere il medio-lungo periodo. Come Unifrigo Gadus, abbiamo scelto un partner d’eccellenza per intraprendere questo percorso: l’Università Parthenope di Napoli con la quale abbiamo avviato Progetto25, una strategia triennale per la sostenibilità, che non a caso è stata anche notata e presa a esempio dalla stampa nazionale, come il Sole 24 Ore.

Il baccalà vive in acque fredde e profonde, lontano dagli effetti diretti delle attività umane, il che riduce l’esposizione a inquinanti e la possibilità di alterare gli equilibri naturali degli ecosistemi marini. Questo habitat naturale permette al baccalà di crescere e riprodursi in condizioni relativamente incontaminate, garantendo la salute e la vitalità delle popolazioni ittiche.

Per questo, chiunque voglia davvero fare la propria parte attraverso un consumo sostenibile delle risorse, dovrebbe guardare anche a prodotti meno mainstream che non sono solo gustosissimi ma vogliono anche bene a biodiversità e ambiente.

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