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Pietro Querini e lo stoccafisso

Una storia tutta italiana

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Lo stoccafisso è il risultato di una particolare lavorazione del merluzzo nordico – per capire tutte le differenze, puoi cliccare qui – e quindi è tipico dei mari del nord Europa, di certo non del Mediterraneo. Eppure, è diventato col tempo uno degli ingredienti tipici dei piatti nostrani.

Ma allora, dai mari del nord, com’è arrivato lo stoccafisso in Italia?

La risposta è Pietro Querini.

Pietro nasce (forse) nel 1400 nella potente famiglia veneziana dei Querini e come i suoi avi e i suoi successori divenne marinaio. Anzi, navigatore (al tempo si diceva così). Nel 1431 salpò con alcuni marinai diretto verso le Fiandre, ma il viaggio andò male, anzi, malissimo.

Dopo un po’ che navigavano, infatti, i nostri ebbero qualche problemino: un sacco di tempeste, rottura del timone e dell’albero maestro, trasportati quasi in mare aperto dalla Corrente del Golfo. A un certo punto alcuni marinai pensarono bene di mettersi su delle scialuppe e andarsene dicendo che la nave era stata colpita dalla sfortuna – non posso dare loro torto, in effetti.

Peccato che andarono dispersi non si sa dove e di loro non si ebbero più notizie. Non andò molto bene. Non contenti, anche i superstiti decisero di imbarcarsi su una scialuppa – coraggiosi o un po’ tocchi? – ma a loro andò meglio: alcuni non sopravvissero all’assenza di cibo e acqua, ma gli altri (pochi) che riuscirono a farcela a un certo punto approdarono su un’isola deserta, Sandøy, vicino a Røst.

Ed è da qui che vennero recuperati da alcuni marinai autoctoni che in quel momento si trovavano a passare nell’arcipelago norvegese delle Lofoten. Fra loro c’era Pietro Querini.

I nostri moderni Robinson Crusoe vennero soccorsi e ospitati dalle comunità di marinai norvegesi che, oltre a dare loro un letto e un riparo, li nutrirono con i loro cibi locali. Pietro, nei mesi in cui la compagnia rimase lì, scrisse diverse lettere a casa con cose tipo «per tre mesi all’anno non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte» – e no, non parlava del tuo ufficio nei mesi in cui c’è un picco di lavoro. Parlava della Norvegia e della sua gente, di cui dice «si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro».

Fra le varie cose, però, Pietro dice anche una cosa molto interessante e cioè «prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi [che] seccano al vento e al sole senza sale, e sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare».

Se non l’hai ancora capito, sì: Pietro Querini è quello che porta in Italia lo stoccafisso e la sua lavorazione.

C’è da dire che il nostro Pietro-Robinson Crusoe ebbe anche una grande fortuna – chiamiamola così – perché poco dopo l’importazione dello stoccafisso, pesce molto magro, i navigatori europei ampliarono le loro rotte di viaggio ed ebbero bisogno di cibi capaci di conservarsi per tanto tempo. E poi, qualche anno dopo, nel 1563, lo stoccafisso uscì dalle comunità di pescatori e iniziò a essere consumato da chiunque perché diventò uno dei piatti consigliati nei giorni di magro secondo i documenti del Concilio di Trento.

Questo solo per dire che i fenomeni social e la viralità dei prodotti non li abbiamo inventati noi oggi.

La storia di Pietro Querini, almeno quella più divertente e avventurosa, finisce qui. Ma ci sono moltissime altre storie di mare che puoi scoprire.

Consigli, ricette, curiosità sui prodotti ittici. Con un narratore d’eccezione: Gismo.

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